Quando mi metto alla presenza di Dio dopo aver fatto le
letture sacre, lì, nel silenzio, mentre le sue parole scorrono nell’anima e s’illuminano
di una sapienza nuova, mi sento come tornata a casa; in uno stato di silenzioso
e indescrivibile piacere spirituale che diventa quasi fisico perché mi fa
battere forte il cuore.
Tutto suona familiare. Nelle conferme di Dio alle mie
riflessioni, scorgo il suo incoraggiamento. Oggi stesso, infatti, pensavo a
come le nostre colpe passate ci facciano sentire male al punto di non saper
reagire nel modo giusto con gli altri e con chi ferisce. E si univa a questo la
constatazione di come per alcuni sia difficile portare la parola di Dio agli
altri: perché è un difficile equilibrio del sapere quando e come parlare per
ottimizzare quel che si sa di Dio. Anche in quel caso veniva a galla evidente
la nostra umanità con le sue debolezze che ci frenano. Il pensiero (pur in
buona fede) di dover vincere e avere ragione, quando poi la gente ti tratta come
se non ne avessi affatto e potessi solo rassegnarti a riconoscere che la tua è
una causa persa per il mondo.
Mi fermo in preghiera e mi capita la lettura di San Paolo
che dice: “Abbiamo un tesoro in vasi di creta”, e tutto si fa più chiaro.
Una cosa preziosa come la fede e la parola di Dio, riposta
in una cosa fragile come la nostra umanità che piange, si scoraggia, si sente
schiacciata dalle proprie colpe passate, da tutti i sensi di colpa che il
diavolo ci rimanda indietro a bumerang. Eppure Dio sa dove ha riposto la sua
parola: in vasi di creta come noi…”affinché appaia che questa potenza
straordinaria viene da Dio e non da noi”. Nella nostra debolezza si manifesta
la gloria di Dio.
E’ come se ci portassimo sempre dietro la morte di Gesù in quest’umanità
labile per poi godere della Vita di Gesù nelle parole ispirate che ci escono
dalla bocca. Così il sudore e il pianto fanno da moneta per essere buoni
discepoli.
Portare la parola di Dio è un lavoro difficile e l’unica
cosa che tocca davvero solo noi è non lasciare che vinca l’umanità tentata in
ogni modo dal demonio a demordere e rinunciare. A colui che suggerisce
malignamente questo, occorre rispondere come San Paolo: “Sono tribolato ma non
schiacciato, sconvolto ma non disperato, perseguitato ma non abbandonato perché
in me agisce Dio e non potrò perdere neanche quando a tutti sembrerà che ho
perso. Come quando credevi di aver ucciso Gesù che è invece resuscitato a una
vita che non puoi più uccidere”.
Così la conferma che mi viene dal Cielo è che effettivamente
siamo vasi fragili come la creta e ogni movimento rischia di farci andare in
pezzi; l’incoraggiamento è che la potenza di cui necessito viene da Dio e non
da me e che persino la mia fragilità è di sostegno al brillare di Dio: ne è
cooperatrice. Un po’ come quando per far risaltare meglio un colore, accanto,
se ne mette uno più scuro: io faccio il contrasto per dar luce al mio Gesù.