Eccoci qua, di nuovo a Natale, in quello stato di grazia che
questo periodo ispira.
Stato di grazia? Sicuri?
Sento parlare due ragazzi per strada e fra le parolacce
colgo qua e là qualche verbo in un improbabile italiano, ma il senso della
frase è irripetibile, basti pensare che si medita una feroce vendetta verso una
terza persona che sembra aver concentrate su di se le qualità peggiori di tutta
l’umanità. Quanti anni avranno questi pargoli che usano aggettivi e avverbi
come spade? Non più di 16.
Più tardi, in auto, a un incrocio mi fermo per cedere il
passo a un tremolante vecchietto che deambula lento lento, ma l’auto dietro si
getta quasi nel fosso per superarmi e il conducente urla augurandosi vivamente
che io mi tolga, per così dire, di torno e dall’espressione non mi sembra
propenso a gioire per il Natale vicino, né tanto meno ad augurarmi buone feste.
C’è forse un po’ di inquietudine in giro? Cosa capita al
cuore degli uomini? Dov’è quello stato di grazia di cui si parlava? Mettiamoci
alla ricerca.
Da piccola posizionavo i personaggi del Presepe guardandoli
negli occhi per immedesimarmi e riuscivo quasi a immaginare i loro pensieri.
La contadinella con l’oca in mano stava già sognando di
quando avrebbe deposto quell’esserino ai piedi di Maria facendola sorridere di
gratitudine. Il fornaio camminava impettito e gongolante perché avrebbe sfamato
la Sacra Famiglia col pane impastato da lui! La ragazza col secchio di latte,
consapevole del suo prezioso carico, s’affrettava allegra al pensiero di vedere
il Bambino.
E io li, che ascoltavo i loro pensieri mentre archittettavo
ingenua il modo per esserci anch’io. “Come mi faccio piccola piccola per
camminar sulla ghiaia con gli altri e venire a vederTi?”…questa la mia
preghiera da sempre!
Restavo a guardare la scena, senza fiatare, inebriata dal
profumo di cibo nell’aria e dalla voce di mia madre e mia nonna che si aggiravano
indaffarate in cucina. Felice di poter almeno sognare. Ero in uno stato di
grazia.
Quello stato in cui sentivamo tutti il bisogno di essere
sereni, più gentili uno con l’altro, tendenzialmente allegri perché grati di
ciò che avevamo. Del Natale è questo che ricordo: il desiderio di sentirmi come
i pastori che vanno alla culla di Gesù, felice perché in qualche modo l’avrei
visto anch’io. Proprio grazie a quello spirito natalizio che ti spinge a farti
guidare dalla speranza e dalla bontà.
Davanti ai bambini piccoli bisogna sorridere, parlare piano,
essere delicati nello sfiorarli e avere attenzioni di mamma.
In questo periodo Gesù vuole ricordarci come accostarci a
Lui: come a un Piccolo indifeso. Sentendoci onorati di farci Suoi difensori,
occupandoci di Lui non litigando fra noi per non turbare la sua serenità.
Sforzandoci di scoprire cosa vorrebbe Lui.
Allora, fratelli, cerchiamo una cesta ideale dove porre il
dono che il Piccolino vorrebbe da noi e, tutti insieme, senza rivalità, invidie
o fastidi verso l’altro, rechiamoci in fila, in silenzio, verso di Lui.
Entreremo nel Presepe, calpestando la ghiaia, ci faremo
guidare dalla Luce della nostra preghiera e dei nostri sogni e alla fine
troveremo un Bambino che ci attendeva da tanto. Ci stupiremo perché non
guarderà neanche le nostre ceste, forse solo piene di errori e dolori. Cercherà
il nostro sguardo e ci prenderà un dito con tutta la manina per attirarci a
Lui, per ricordarci che Lui c’è, e con un sorriso soddisfatto ci lascerà
andare, perché sa già che ci salverà.
Buon Natale fratelli da…dentro il Presepe.
Paola Buccheri
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