Mi sono spesso chiesta perchè solo le cattive notizie facciano parlare tanto le persone...for

giovedì 27 febbraio 2014

PERSEVERARE

“Non c’è più niente da fare!”…ma sentite un po’: avete mai ascoltato una frase più scoraggiante di questa? Magari stai combattendo con tutte le tue forze per aggiustare una situazione; magari sei pure stanco di farlo perché è logorante combattere senza risultati soddisfacenti; magari hai già a che fare col tuo pensiero che non stai concludendo niente ma non ti dai ascolto e seguiti il tuo lavoro…ed ecco un personaggio ameno che da li fuori ti disfa le forze rimaste asserendo che non c’è più niente da fare!
Allora pensi mansueto: forse lo dice per il mio bene, forse non vuole più vedermi soffrire, forse è talmente afflitto per il mio combattimento che mi vuole levare da esso a tutti i costi con una frase a scoppio. Potrebbe essere così. Anzi, spesso e volentieri è proprio così. Ma io mi fermo a riflettere e dico: che mi giova?
Che giova mollare una buona battaglia? Che giova lasciare d’amare solo perché ti stai consumando nel farlo? Che giova abbandonare le fila di coloro che vogliono far valere il bene, i buoni propositi? Che giova non difendere Cristo e le sue buone notizie di vita?
Probabilmente mi sentirei meno stanca, ma non in pace. Mi ritroverei meno impegni, ma non mi sentirei libera. Sarei più rilassata, ma non felice.
Starei fuori da molti problemi, libera di vivere un po’ come mi pare, ma la mia vita sarebbe solo uno squallido passaggio sulla terra di un bipede, mentre io voglio lasciare una scia luminosa d’amore e di speranza.
Non si possono solcare i cieli e illuminare l’anima di un fratello senza sforzo, senza vedere il proprio sangue perdere forza e sostanza. Niente di buono si costruisce con….niente.
Se qualcuno vi dirà, per un qualsiasi motivo che non c’è più niente da fare per costruire il bene, voi prendetela come uno sprone per riprendere forze e andare avanti nella vostra splendida battaglia, perché c’è un solo “essere” veramente interessato a scoraggiare il lavoro di chi vuole vivere la vita di Cristo: l’abitante dei Piani di Sotto. E se irritiamo lui al punto da mandarci a dire “Lascia stare”, vuol dire che abbiamo già fatto molto nel nostro apparente niente.
La speranza altro non è che una luce emanata da chi sa perseverare nel bene!
Voglio essere speranza, voglio essere luce.

Sù, dai che ce la fai!!



PESCI FUOR D’ACQUA

(Meditazione sulla parabola del figliol prodigo dal Vangelo di Luca 15,11-32)

Gesù vuole che ci rallegriamo dei fratelli ritrovati; non fa nulla di chi è il merito o se il fratello ci passerà avanti: menomale che sta con Dio! Solo questo ci deve importare! Tutto il resto ha un nome: invidia.
Le invidie ci fanno star male, ci turbano e tolgono il sorriso, mentre il gioire di qualcuno che tornando al Padre diviene anche più scaltro di noi nel seguire i suoi insegnamenti, ci rende sereni e più belli agli occhi di Dio.
Perché agitarsi? Il Padre dice: “Figlio, tu sei sempre con me e quello che è mio è tuo!”. Cioè, quando siamo con Dio, abbiamo tutto ciò che è di Dio: la sua pace, la sua casa e possiamo allungare le mani su tutto ciò che contiene. Perché mai auto-escludersi per un turbamento sciocco come l’invidia? Ci ritroveremo a piagnucolare fuori di casa Sua, tutto per merito nostro!
Il Padre festeggia i figli che tornano e ci vuole con lui affinché la Sua gioia sia piena e possiamo approfittare anche noi del momento per rallegrarci e godere dei festeggiamenti. Se tutto ciò che è suo, è mio, anche quella festa è mia: è anche per me.
Se il Padre festeggia un fratello, questo non significa automaticamente che non gli importi dell’altro, anzi, lo vuole “dentro” casa con Lui, assolutamente, come se questo fosse un elemento fondamentale della festa.
Un giorno si assomiglia al figlio invidioso, un giorno all’altro, quando per esempio si borbotta: “Mi sono tanto sforzato per avere Dio, la gioia e la bontà, ora sono stanco di stare al suo servizio. La vita mi scorre davanti ed io non la sto vivendo. Voglio godere, fare quello che mi pare perché ne ho diritto. Chi potrà rimproverarmi di questo? È legittimo: è la mia parte del tesoro che voglio ora e subito”.
Il fatto è che per fare tutto questo mi ritrovo ad andare fuori dalla casa paterna, a spendere le mie qualità, la gioventù, la bellezza e la salute. Fuori, dove io penso, nessuno mi veda. Fuori: al di fuori delle Sue regole che mi strozzano e impediscono di godere.
Ma presto mi accorgo che là “fuori” non c’è più pace, non c’è la serenità d’essere con Lui, c’è solo l’angoscia di non essere più la sua gioia e c’è l’idea di un Padre deluso, alla finestra che attende mentre io chissà che sto facendo! C’è la malinconia logorante del cuore per non essere dentro la volontà del Padre. Sono nella MIA volontà e nella mia fittizia felicità, che sta velocemente mostrandosi essere la mia delusione.
Il diavolo sa ingannare bene le anime; mi parla di un benessere che sta fuori dalla casa di Dio, mio Padre, costituito da un insieme di mie volontà e desideri. In realtà sarebbe come dire a un pesciolino: “ Vieni a vedere che belli i prati e i fiori e com’è bello correrci sopra!”. Il pesciolino allora, nella sua stupida ingenuità, si fa tirar fuori, ma presto si accorge che sicuramente i prati e i fiori saranno belli, ma non riesce a goderne affatto perché già non può più respirare: gli manca la sua acqua del mare.
Forse il diavolo spera che noi moriamo prima di accorgerci che era un vile inganno.
L’amore però ci chiama e il ricordo della pace divina rimette a posto le idee, così che ogni bellezza, desiderio e godimento perde attrattiva in confronto a ciò che si è perduto. Il desiderio più grande diventa quello di chiedere scusa al Padre, riconciliarsi con Lui per tornare a vivere nel nostro habitat naturale dove l’aria è respirabile.
Tutte le volte che ho sbagliato, sono stata anche fortunata perché il ricordo della perduta pace, mi dilaniava dentro, tanto da indurmi a tornare a Lui. Né voglio che smetta mai di farlo, perché così mi sento al sicuro e non ascolterò quando da dentro o da fuori mi arriveranno voci che inducono a sbagliare andando lontano da Dio!
Vivrò e godrò di là, nella vita futura con Dio, perché là avrò un corpo migliore inadatto al peccato, avrò l’anima salva e godrò con Dio, in Dio, per Dio.

Io non voglio la mia parte ora: io voglio TUTTO, ma dopo!


venerdì 14 febbraio 2014

NULLA VA’ PERSO (ciliaci spirituali)

                                     
Nulla và perso nell’economia santa dell’amore spirituale. Come è confortante! Tutti i sacrifici che si fanno, anche se nessuno li vede o ne verrà mai a conoscenza, servono a qualcosa. Magari arriveranno i frutti in un luogo lontano nel mondo, ma arriveranno. Gesù non butta niente di ciò che abbiamo dato.
Il mestiere del diavolo è sussurrare la solita frase: “ E’ inutile”. La dice nelle nostre orecchie, la insinua nella mente: “ma per chi mi sto sacrificando tanto? Per chi? Nessuno mi comprende, nessuno si accorge di quanto do e di quel che faccio per Gesù. Forse è tutto inutile. Non cambia niente, non vedo risultati…”
Ma non è così. Si tratta soltanto di un pensiero serpeggiante nella mente che gioca sulle mie paure psicologiche e con la mia intelligenza; gioca sulla mia capacità di trarre conclusioni: il sillogismo.
Dote quasi matematica del ragionare che non lascia via d’uscita: 2+2=4. Non c’è scampo. Eppure, queste sono soltanto le coordinate terrestri. Servono a chi è del mondo e basta. Noi, come figli di Dio, abbiamo una coordinata in più che allarga la nostra visione intellettuale e spaziando nelle nostre idee ci presenta una nuova dimensione. Un po’ come Superman, noi veniamo da molto lontano e sappiamo usare le capacità di Quel luogo: veniamo dal Cielo e possiamo usare le coordinare celesti. Abbiamo uno spirito che tappa la bocca ad un  sillogismo riduttivo.
Posso volare! Metto le ali al mio pensiero e mi faccio condurre dal cuore. Arrivo a sfiorare il Cielo, mia antica e futura casa. E in questo volo comprendo come sia importante  ciò che prima sembrava inutile nel freddo e arido ragionare sillogistico. Perché mi ricordo che Gesù raccolse le ceste dei pani e pesci “avanzati”…quelli che non erano serviti…quelli “inutili”agli uomini. Li recupera ancora Lui, oggi come allora e li usa per chi ancora ha fame, ne ha bisogno. Per coloro che io non conoscerò mai.
Si soffre, sì. Li per li è difficile focalizzare l’importanza delle nostre buone azioni andate perdute o addirittura derise. Tutti soffriamo perché ci tocca vivere in un posto dove comandano il corpo e la mente, e vivere di spirito è essere dei “diversi”. Come fossimo ciliaci: apparentemente sei uguale agli altri, ma se non ti nutri del tuo cibo personale, stai male e perdi le forze. Devi assolutamente mangiare un altro tipo di pane che ti nutra meglio e ti guarisca da questo tossico della terra. Continuamente, senza poter smettere. Soffri perché non capisci come mai molti si trovino bene così e tu devi faticare tanto per star “quasi normale”.
Io Sono una ciliaca spirituale. Non posso permettermi di lasciare la mano di Gesù nemmeno per un istante, perché  altrimenti deperisco subito come un fiore senza acqua. Sono anche io da salvare.

Ma che bello sapere che è il Pane del Cielo che mi nutre e che è Gesù in persona che mi sta facendo volare. 

L'amore avanzato andrà a chi ne ha fame

mercoledì 12 febbraio 2014

BEATI GLI SFIGATI

“Come sono sfigato!”-ecco una frase che ancora non ho deciso se mi fa ridere o se mi suscita un po’ di rabbia. E’ usatissima, soprattutto fra gli adolescenti. Ha un significato molto più ampio di quel che si potrebbe pensare di primo acchito.
Significa certamente non aver fortuna nelle situazioni della vita, ma è diventato quasi un modo di identificare un certo tipo di persona: lo sfigato, quindi. Da quel che ho potuto intuire (perché queste cose si possono solo cogliere: esulano da qualsiasi definizione precisa), si tratta del tipo di ragazzo ordinato, pettinato, educato, che non crea problemi, abbastanza silenzioso e che non impone il suo pensiero. Persona che certamente non fa colpo su ragazze o ragazzi (esiste anche la sfigata) e che vive ingenuamente fra gente considerata scaltra, affascinante, notevolmente sgarbata e con i modi da bullo di periferia.
Viene da pensare che lo sfigato, a questo punto, sia tale perché capitato in un mondo di non-sfigati!
Fatto sta che molti, troppi ragazzi, si sentano tali solo perché impossibilitati di esprimere se stessi o, peggio, perché i non-sfigati li facciano sentire dei perdenti solo perché non aggrediscono psicologicamente, verbalmente e fisicamente il prossimo!
Così facendo s’incasellano le persone in categorie davvero deprimenti che non hanno motivo di essere e i ragazzi calano in uno stato simil-depressivo che li fa sembrare ancora più “sfigati”.
A questi ragazzi io voglio dare una lieta notizia: Non solo la sfiga non esiste, ma la felicità esiste! E non è tutto. La felicità è un diritto, come quello di essere se stessi anche se diversi dagli altri (e diverso non significa sbagliato). Essendo la felicità un diritto, perché Dio ci ha creati per la gioia e la gioia d’amare, non può considerarsi una cosa che forse ti capita e forse no.  Vivere pensando che tu hai diritto alla felicità, però devi attendere se qualcuno o qualcosa la renda possibile, non è vivere. Assomiglia più ad angosciarsi e vivere nel rancore e nel sospetto che qualcuno ti stia togliendo qualcosa di importante.
Quello è un pensiero davvero sfigato! Quale Padre farebbe questo ai suoi figli? A uno lo faccio felice all’altro no? Come può entrare nel cuore di un padre un tale pensiero? Non è così.
Un padre, avesse 20 figli, li vorrebbe tutti felici. Figuriamoci poi Dio!
La felicità non dipende dagli altri, non è qualcosa di esterno. La felicità vive nel cuore, perciò nasce dentro di noi. Siamo noi i padroni della nostra felicità.
Ragioniamo: quando si è felici? Quando si ama. Ci si sente salvati, vivi per sempre. Allora amiamo! In ogni istante. Tutti. Ecco la felicità. Non posso attendere che qualcuno decida d’amarmi e non posso farmi amare se non sono amabile…e non sono amabile se non amo. Tutto qua. Io ho già la felicità dentro di me. Sta a me farla vivere.
La sfiga vera, l’unica che posso accettare di chiamare tale è il non sapere che io sono già felice.
A quel punto non mi importerà niente in quale categoria mi vorranno mettere. Se per me amare è essere educato, non usare violenza, non affliggere il prossimo col mio caratteraccio solo per imporre le mie idee, allora mi chiamassero pure sfigato, non avrà importanza: è solo un nome come un altro.
Dio saprà quale nome ho io, sempre il mio nome, quello che hanno scelto i miei genitori per me. E lascerò che Dio mi metta nella categoria che desidera Lui: fra i felici.

Perciò ragazzi…. “beati gli sfigati!”


MANSUETI NEL DOLORE


“Essere mansueti nel dolore”: è uno dei frutti dell’abbandono in Dio. E’ una sorta di liberazione dal dolore stesso, perché si accoglie nel modo che fa meno male di tutti; sicuri che Gesù c’è e assiste.
Mansueti: senza far pesare anche agli altri i propri malesseri, o almeno, non sentire un bisogno smodato di fare le vittime, visto che abbiamo già quel che conta, e cioè l’aiuto divino.
Fare la vittima serve ad attirare l’attenzione su di noi per ottenere compianto, commiserazione e per far capire che abbiamo bisogno degli altri. Invece, per uno che sa quanto Dio sia a conoscenza del suo patire e come si sia già attivato per consolarlo e aiutarlo, non serve a nulla.
Non sente quel bisogno impellente di lamentarsi rumorosamente.
E’ vero che alle volte avremmo bisogno anche degli altri, ma dirlo è inutile: chi ci ama lo comprende anche senza i nostri pianti e si fa vicino; chi non ci ama non lo capisce nemmeno se sbraitiamo per ventiquattro ore di seguito.
Alla fine la cosa migliore da fare è starsene buoni, nelle braccia di Maria ad aspettare che il dolore piano piano passi rendendomi più bella, più buona e più santa nel suo camminarmi sull’anima.

La rabbia nel dolore è solo una fatica in più, un plus-valore che paghiamo sulle nostre espiazioni. Voluto solo da noi stessi, mai richiesto da Dio.

E' li che stiamo quando soffriamo