“Voi siete potenti come era potente Cristo in
croce”: è una frase di Papa BenedettoXVI ai malati.
Che potenza aveva Gesù con mani e piedi
inchiodati? Che potenza poteva avere Lui che, sfinito dal dolore, quasi non
riusciva più a parlare? La potenza della croce è un mistero. Della Sua come
della nostra, delle nostre malattie e disgrazie che ci inchiodano a un dolore
tanto da paralizzarci la lingua e da non sapere nemmeno cosa dire in preghiera.
Quando mi tolsero dalle braccia mio figlio di
appena 40 giorni perché rischiava la vita e sparirono dietro ad una porta dove
io non potevo entrare, sentii una fitta al cuore e un dolore indescrivibile
nell’anima. In quel momento, mentre le forze fisiche venivano meno, c’era
intorno a me una gran pace a farmi coraggio. Rimasi a pensare che poteva
accadere il peggio: avrei potuto perdere mio figlio, ma mi venne una
riflessione singolare. Chi mi aveva concesso di vederlo? Era stato Dio. Non
l’avrei mai visto se non fosse stato per Lui. Improvvisamente era tutto chiaro:
mio figlio non era mio, era del Padre e per un qualche misterioso motivo forse
doveva tornare da Lui. Quando realizzai questa certezza, il cuore, pur
dolorante trovò la calma. Alcuni giorni dopo ci fù per me una grande gioia:
riebbi il mio bambino fra le braccia sano e salvo e quella rappresentò la sua
seconda nascita e la mia Nascita. Sento ancora viva la gioia di quel momento:
avevo capito di aver fra le braccia un dono assolutamente gratuito di Dio.
Così, senza alcun merito, senza alcun motivo plausibile avevo un Suo figlio da
crescere. E per una bontà impossibile da dire, aveva deciso che io mi sarei
occupata di lui.
I miei figli sono i Suoi e li tratto come tali.
Questo ha reso tutta la mia e la loro vita migliore. Se non fossi salita su
quella croce con l’idea di morirci sopra, non avrei visto tutta questa luce,
non avrei compreso l’importanza di un figlio come Cosa Sua. Non avrei avuto la
grazia di aprire gli occhi sul significato della vita e dei doni che Dio ci fa
continuamente e che prima consideravo come “di diritto”.
Ho compreso che la croce non porta mai solo i
chiodi piantati nelle mani e nei piedi o le spine sul capo o l’asfissia della
posizione scomoda di quel duro momento. Ho scoperto che se stai fermo e preghi,
gli occhi si aprono e ti accorgi che da dove sei, lì, fra Cielo e Terra, in
quella dimensione del dolore…vedi più in là. Ti trovi più in alto e sei già un
passo più vicino al Cielo.
Da dove sei, anche se pensi che non è così, Il
Padre ascolta e se affidi il tuo spirito a Lui, è sicuro che se ne occuperà. E
sempre dopo la croce i Cieli si aprono e lentamente la vita ritorna in una
forma gloriosa. La gioia non è più quella di prima: è migliore perché stabile e
duratura.
Senti che è crollato il più alto muro che l’essere
umano ha di fronte: che con la croce si abbini solo la tristezza e lo strazio,
mentre grazie a Gesù Cristo si trasforma in resurrezione, pace e gioia.
La potenza della croce è che salva me per prima,
da tutti i miei pensieri negativi, dal dare importanza a cose inutili nella
vita. Mi fa vedere le bellezze intorno a me delle quali prima non godevo, mi
ricorda che l’unica cosa intelligente da fare qui è architettare ogni giorno la
felicità degli altri, anche se si sta male fisicamente o moralmente. Certi che
quel dolore non arriva da Dio ma ne farà un mezzo per regalarmi tante grazie.
Tutti, sotto la croce di Cristo, erano lì a
osservarlo per vedere cosa avrebbe fatto: se avrebbe maledetto qualcuno, se
avesse poi scelto di scendere da quella tortura facendosi forte di essere
l’Onnipotente, o altro. Erano tutti intenti a guardare fino a che punto amava
gli uomini ingrati. Ed hanno scoperto questo: fino alla morte. Il suo perdono,
la sua dolcezza, il suo amore sino all’ultimo respiro, hanno conquistato tanti
cuori.
La potenza di Gesù in croce è stata di morire
d’amore per noi e lo ha fatto per mostrarci che morire d’amore non significa
morire per sempre, ma risorgere per sempre. Tutti coloro che accettano il dolore
si rendono potenti come Cristo: attirano le anime a Dio e guadagnano la vita
eterna. Se la mia debolezza (la malattia) è la mia potenza, allora non
m’importa di star male, e anzi ringrazio Dio di avermi dato qualcosa che mi
renda potente e mi leghi a Lui per sempre.
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